Vittoria
Ottoboni Serbelloni
di Paolo Colussi e Maria Grazia Tolfo
Maria
Vittoria nasce a Roma nel 1721 da Marco Ottoboni, appartenente a una
famiglia della nobiltà veneta, i duchi di Fiano, trasferitasi a Roma
al seguito di Alessandro VIII (1689-1691), uno dei papi più
nepotisti della storia pontificia. Vittoria sposa a vent'anni il
duca Gabrio Serbelloni, nato nel 1693(vedi la pagina in questo sito
), dal quale, dopo i primi anni di matrimonio, vivrà
separata.
Una vera commediante
Vittoria fu amata e ammirata da Pietro Verri
(1728-1797), che su di lei espresse giudizi encomiastici. Dichiarava
di doverle la conoscenza della "bella letteratura francese" e
apprezzava la sua grande cultura: "La storia sacra, la romana, la
mitologia, queste tre classi le possedeva a rendeva buon conto di
tutte le produzioni teatrali e di romanzi".
La
Serbelloni fu innanzi tutto però una profonda conoscitrice della
letteratura francese; tradusse il teatro comico a sfondo
moraleggiante e didascalico di Destouches e
lo pubblicò a Milano dal 1754 al 1773, con un proemio del Verri
celato sotto lo pseudonimo di Modonte Priamideo. Era lei stessa una
grande attrice, che si avvaleva di drammi, commedie e cantate
composte tra gli altri da Pietro Verri e da Giorgio Giulini, da
recitare nel suo teatro privato. Il Verri tradusse per esempio in
italiano L'Oracolo del Saint-Foix e il Giulini lo musicò.
Carlo
Goldoni la onorò della dedica della Sposa persiana. Il poeta e librettista Giovanni De Gamerra (1743-1803) la
esaltò nel poema eroicomico del 1773, Corneide (c. LXXI, st.
86), perché "faceva di virtù pompa e non di nobiltà" e le dedicò
I solitari.
I
Milanesi avevano una vera passione per gli spettacoli teatrali.
All'epoca in cui donna Vittoria recitava, era ancora in funzione il
teatro nel Palazzo ducale, distrutto da un'incendio nel 1776 e
sostituito provvisoriamente dal Teatro interinale nella Ca' di Can
(area Hotel Cavalieri in piazza Missori). Funzionava anche il
teatrino del Collegio dei Nobili (poi Collegio Longoni in
Fatebenefratelli, ora Questura). Alla Scala, inaugurata nel 1778, si
davano anche commedie di fantasia e si recitava alla Cannobiana,
aperta nel 1779.
Il salotto di donna Vittoria
Il De Brosses, in visita
a Milano, trovava che la società milanese fosse "più amabile e
francese che in ogni altra parte d'Italia". La tradizione salottiera
milanese era già attestata da parecchio tempo e, fra le promotrici
dei salotti culturali, si trova Donna Serbelloni, il cui salotto nel
palazzo in corsia dei Servi o nelle ville di Gorgonzola (ora Sola
Busca) e Bellagio fu eterogeneo e vivacissimo.
Rovani,
con licenza poetica nel capitolo VII del suo romanzo
Cent'anni, colloca il salotto nel nuovo palazzo di corso Venezia e
così ne immagina l'atmosfera: "V'erano l'abate Parini, Pietro
Verri, Paolo Frisi, Cesare Beccaria, il segretario Cesare Larghi, la
sorella di Gaetana Agnesi, la non meno rinomata Maria Agnesi, la
sola compositrice di musica drammatica ricca di fantasia e di
dottrina; il pittore Londonio, il tormento dei preti, dei frati, dei
vecchi. Parini e Verri si stimavano vicendevolmente, ma si temevano
forse più di quello che si amassero. Mentre Parini tuonava, il conte
Verri era impegnato in un discorso con la marchesa Ottoboni, alla
quale proponeva, essendo essa letteratissima, di tradurre il teatro
francese applaudito, ovvero le ottime commedie di Molière, per
tentare di purgare anche il teatro comico a Milano dalla scipita
laidezza ond'era contaminato. In altra parte Cesare Beccaria, seduto
solo, anzi sdraiato su d'un canapé, già annoiato dal peso della sua
precoce corpulenza e dalla gloria che non aveva cercato,
dissimulava, sotto l'aspetto d'una indolenza invincibile."
Il
salotto di donna Vittoria faceva da cassa di risonanza a quello
aperto dal Verri nella sua casa di via Montenapoleone, che aveva
dato origine alla Società dei Pugni. Vi partecipavano, oltre
ovviamente al fratello Alessandro, il conte Luigi Lambertenghi, il
marchese Alfonso Longo, il conte Luigi Visconti di Saliceto e altri,
collaboratori anche del giornale "Il Caffè", che si proponeva di
denunciare i vizi e i pregiudizi della letteratura, della morale,
della legislazione e dell'economia. La pubblicazione ebbe vita
breve, dal 1764 al 1766, ma lasciò un ricordo indelebile.
Gli
ospiti di casa Serbelloni erano poi gli stessi confluiti nella
Società patriottica voluta da Maria Teresa per lo sviluppo
dell'agricoltura, dell'artigianato e dell'industria. Vi
partecipavano infatti i Verri, Beccaria, Frisi, Parini, Moscati; il
discorso d'inaugurazione nel 1778 fu tenuto da Pietro Verri.
Il precettore Parini
Per
l'educazione dei suoi figlioli, soprattutto del primogenito Gian
Galeazzo di dieci anni, donna Vittoria assunse nel 1754 un giovane
abatino, Giuseppe Parini, ordinato sacerdote in quello stesso anno
per poter usufruire di un'eredità lasciata da una prozia. Il
rapporto fra la volitiva padrona di casa e il giovane precettore fu
improntato alla maggior bonomia: la signora incoraggiava le doti di
scrittore del Parini e, c'è da supporre, lo trattava come un
figliolo.
Dovette
essere per lei una grande sorpresa la ribellione che il giovane
precettore dimostrò ai suoi ordini durante il soggiorno a Gorgonzola
nel 1762. L'episodio è famosissimo e si riferisce a uno schiaffo che
Maria Vittoria diede alla giovane Sammartini, cantante e figlia del
maestro di musica Giambattista, che si era impuntata di voler
ritornare a Milano. Parini, amico del padre, giunto a Milano nel
1760, si sentì di agire come un vero cavaliere e si offrì di
accompagnarla, scontrandosi apertamente con la sua datrice di lavoro
e abbandonando per sempre i Serbelloni. Donna Vittoria scrive al
figlio, giustificandosi per il cambio di precettore: "J'ai du me
défaire de l'Abbé Parini à cause qu'à Gorgonzola il m'a fait une
tracasserie bien grande...".
Francesco Reina, amico e biografo
di Giuseppe Parini, scrive che il precettore si era in realtà
stancato dell'ambiente di casa Serbelloni, perché la padrona di casa
invitava anche scioperati e ignoranti, che "stuzzicavano la bile"
del poeta fino a ispirargli l'intelaiatura del Giorno.
A
conoscenza di un tumore che l'aveva colpita al seno, Vittoria
Serbelloni si fece trasportare nella sua villa "La Quiete" di
Tremezzo (CO) e qui si spense, senza voler più vedere alcuno, nel
1790.
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Ultima modifica: martedì 30 luglio 2002
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